Daniele Barbieri, semiologo (allievo di Umberto Eco), docente a Bologna e blogger, ça va sans dire, che ci racconta ogni volta una tavola (o due) di un fumetto. La scompone e analizza, o cerca un tracciato una chiave di lettura nel concatenarsi di vignette e loro immagini.
Boris Battaglia filosofo per conto suo, per un anno editore glorioso assieme ad altri con Rasputin, in tempi dove non c'erano chance (sì, molto meno di adesso miei giovani amici), detentore di uno dei rarissimi blog in cui si dice qualcosa di più, racconta il suo rapporto con il fumetto collegandolo al mondo.
(a entrambi potete scrivere dicendo la vostra o chiedendo chiarimenti).
Ebbene nel n. 89 Barbieri parla di Muñoz
e Boris di Bilal
Ma entrambi erano a Critical Comics, il primo incontro internazionale di critica sul fumetto, che abbiamo creato a Roma, con la CArt Gallery.
All'incontro in realtà c'era in carne ed ossa solo Boris Battaglia (assieme ad altri studiosi, come Sergio Brancato e Alessio Trabacchini, ma poi alle altre tavole rotonde avevamo Matteo Stefanelli, Alvaro Pons, Dietrich Grünewald, Oscar Glioti, Emanuele Trevi, e inoltre Luca Raffaelli e Ferruccio Giromini). Daniele Barbieri, impossibilitato all'ultimo momento (come pure Andrea Tosti), ci ha mandato il suo testo da leggere.
Ci piace qui, anche se non riguarda il nostro numero 89, pubblicarne uno stralcio.
Come ha detto lui, e come è stato (in forma minore dato che non era lì a discuterne) "un piccolo sasso nello stagno", non una polemica, ma qualcosa su cui, appunto, discutere.
Anche qua.
«...siccome si parla di critica, dovrò prima definire un attimo quale ne sia l’oggetto. In particolare mi preme sottolineare che, per il mio discorso, l’oggetto specifico della critica non sono i testi artistici, ma un insieme più vasto di testi, che io chiamo testi estetici. In qualche mio scritto precedente ho definito un testo estetico come quel tipo di testo che produce autonomamente l’interesse da parte del lettore, tenendolo avvinto a causa della sua stessa forma, e non per le informazioni sul mondo che fornisce. Insomma, se leggo la Divina Commedia esclusivamente per conoscere la cosmologia di Dante, la sto leggendo come un testo informativo, come se fosse un trattato tecnico o storico.
Solo che normalmente non si legge la Commedia in questo modo, e la possiamo apprezzare anche se non abbiamo nessun interesse a priori per le informazioni che essa fornisce; e in fin dei conti è proprio perché essa esercita su chi la legge un’autonoma fascinazione, che poi posso anche ritrovarmi interessato a capire la cosmologia di Dante. Ma questo viene dopo; è un effetto testuale; un interesse indotto.
Tutti i testi artistici sono ovviamente testi estetici, ma
ci sono innumerevoli testi estetici la cui artisticità è fonte di infinite
discussioni. Per esempio, i testi pubblicitari sono indubitabilmente testi
estetici, perché devono più di qualsiasi altro testo sviluppare un interesse da
parte del fruitore che dipenda solo da come sono fatti; ed è su questo che poi
si basa la persuasione. Ma se dico che i testi pubblicitari sono testi
artistici sollevo un vespaio; e se dico che non lo sono affatto sollevo un
altro vespaio. In questa sede non mi importa dire né l’una né l’altra cosa. E
la critica di cui parlo può legittimamente occuparsi anche di testi
pubblicitari in quanto testi estetici, infischiandosene della loro artisticità
o meno.
Allo stesso modo, potrò parlare di critica del fumetto
infischiandomene della questione se il fumetto sia arte o meno. La discuteremo,
questa questione, da un’altra parte. Che invece – con le rare eccezioni dei
fumetti didascalici – i testi a fumetti siano testi estetici, è qualcosa di
molto più tranquillamente accettabile.
Su che cosa si basa l’interesse che un testo estetico vuole
ingenerare nel suo fruitore? Io credo che i testi estetici siano in generale
dei condensatori e trasmettitori del mito, ieri come oggi. Lo possono
essere nel loro argomento, o anche magari nella loro struttura – narrativa o
meno. Il fruitore rimane attaccato alla fruizione di un testo estetico perché
vi ritrova qualcosa di profondo e di cruciale. Non necessariamente di etico,
attenzione: il mito non è etico. L’etica ne è solo una componente, non
necessariamente presente. C’è assai poco di etico in tanti messaggi
pubblicitari che pur ci attraggono, e ci attraggono perché mettono in scena
qualcosa che per noi ha valore – salvo alla fine riversare il valore su un
terribile prodotto commerciale.
All’epoca di Omero i testi estetici, cioè i testi
mitologizzanti, erano sufficientemente rari da avere valore di per sé. Eppure,
anche in quel contesto precedente l’introduzione della scrittura, i poemi
omerici sono riconosciuti come più importanti degli altri, come più belli:
ovvero il loro valore mitopoietico viene riconosciuto come maggiore. Anche i
testi degli altri cantori sono belli e importanti, ma quelli di Omero lo sono
di più: ci fanno sognare meglio, ci introducono meglio nel mito, ce lo fanno
vivere più intensamente.
Come si arriva a questa conclusione? Evidentemente la gente
ne parla, e finisce per trovarsi sufficientemente concorde su questa decisione.
È, in nuce, già un’operazione critica, elementare ma fondamentale. E attraverso
questa operazione che cosa si sta facendo? Si sta, evidentemente, costruendo un
mito: quello di Omero e dei suoi poemi».
Daniele Barbieri
Allora che cos'è fare critica oggi?
C'è chi ha contestato il produrre miti. Eppure in parte è anche questo.
Scrivere di una cosa la amplifica.
Poi il ruolo sarà altro, sarà inquadrare le opere nella storia, nel linguaggio, nell'estetica, nella politica... e sì, il fumetto è anche (sempre) politica.
Ne parlerò sul blog di ComicOut. Per ora mi rituffo a chiudere libri e a preparare un numero 90 davvero speciale. Leggere per credere!